Quel giorno, infatti, per pochissimi istanti fu stabilita una comunicazione tra due computer, uno all'Università della California di Los Angeles, l'altro in quella di Stanford. Uno dei due riuscì, tramite un innovativo sistema di packet switching, basato sulla rete telefonica e su di un Interface Message Processor (antenato del router), a inviare all'altro le lettere L e O, parte della parola Login, che oggi tutti noi conosciamo bene.
Il progetto, portato avanti da civili e militari (come per la ricerca spaziale, anche i quella informatica necessitò poi di staccarsi dal controllo degli uomini in divisa), si chiamava Arpanet, e aveva lo scopo di creare una rete di calcolatori per la difesa, anche se in realtà alcuni degli scienziati che vi lavorarono avevano già in mente la rivoluzionaria idea di una fitta maglia di connessioni con lo scopo di diffondere la conoscenza nel mondo - in pratica, una biblioteca universale.
Come ben sappiamo, la cosa non si è evoluta in nessuna delle due direzioni, ma non tutte le previsioni fatte in quegli anni o in quelli successivi - anche dopo la nascita "ufficiale" del WWW, 20 anni dopo, con Tim Berners Lee - si stanno rivelando o si stanno rivelando errate.
Sicuramente uno che ci vedeva lungo era Isaac Asimov. Il geniale scrittore e divulgatore, uomo dalla fervida immaginazione ma anche dai piedi ben piantati a terra, nello stesso anno del primo collegamento "internet" vide messo in scena al Planetario di New York uno spettacolo tratto da un suo racconto di 13 anni prima, L'ultima domanda.
Il racconto in questione, l'unico scritto completamente di getto da Asimov, era considerato dall'autore la sua opera migliore, anzi, dopo la visione dello spettacolo del '69 egli li definì "la migliore storia di fantascienza mai scritta".
Il racconto narra la storia di Multivac, un supercomputer gigantesco, protagonista di vari altri racconti di Asimov, verso cui gli uomini hanno una sorta di devozione, cui periodicamente, a partire dal 2061, viene posta una domanda, forse la domanda fondamentale: "Si può evitare la morte termica dell'universo e la conseguente estinzione dell'umanità, ovvero si può invertire la seconda legge della termodinamica?"
Il computer, ogni volta, non riesce a rispondere per mancanza di dati, finché avviene la tanto temuta estinzione e Multivac (chiamato anche AC) si ritrova solo nell' Universo, ma con la risposta. E così, dopo aver "riflettuto", decide di ridare vita all'universo, giunto ormai allo stato di dio.
E allora Multivac disse: "La luce sia!" E luce fu...Sicuramente il racconto di Asimov è un'iperbole, ma non manca certo un fondo di verità. Cos'è diventata per noi oggi la tecnologia, e in particolare quella informatica, se non il centro della nostra vita e -ormai- anche la colla che tiene insieme la nostra complessa organizzazione sociale?
Ormai riponiamo nei computer una fiducia totale, tanto che la prossima frontiera dell'informatica è il cloud, ovvero un sistema basato su server centrali (strutture enormi, non proprio "nuvolette") in cui si trovano i dati e i programmi con cui si interagisce dai dispositivi privati. In pratica, la barriera della privacy è solo virtuale, legata ad accordi con l'utente finale che pochi leggono a fondo, finendo comunque per accettare (sentendosi di fatto obbligati). Proprio come nei racconti di Multivac, dove il supercomputer è cuore della società, e possiede i dati di tutti i cittadini.
Ma la creatura di Asimov forse potrebbe presto sembrarci superata, visti i progressi fatti su un altro importante fronte dello sviluppo tecnologico. Qualcuno di voi ha mai sentito parlare di computer quantistici?
Un computer quantistico è una nuova forma di calcolatore, totalmente diverso tanto nell'aspetto quanto nel funzionamento da quello che oggi conosciamo come "computer".
Finora l'informatica si è basata sul sistema binario, e quindi sul bit, unità in grado di assumere il valore di 1 o 0. Nel computer quantistico il bit è sostituito dal qubit, ovvero un bit quantistico, fisicamente costituito da un sistema quantistico a due fasi, (un esempio semplice è un elettrone con il suo spin, che può avere due valori), che, seguendo le leggi della fisica quantistica, quando non misurato può assumere infiniti valori tra 0.0000 e 1.0000. In teoria, per via del paradosso quantistico, può essere contemporaneamente 0 e 1. Quindi, combinando diversi qubit, si dovrebbe ottenere una potenza di calcolo incredibilmente maggiore a quella di un computer tradizionale, anche gigantesco? La risposta non è semplice. Il qubit può si svolgere più calcoli contemporaneamente, ma il problema si pone quando si deve trovare la risposta che si cerca, la combinazione giusta. Allora bisogna andare a misurare lo stato del qubit, che deve essere per forza o 0 oppure 1. Ma il computer avrà già calcolato ogni combinazione (in contemporanea), e sarà necessario solo scegliere quella giusta, aiutati anche dal fenomeno dell'entanglement quantistico, per cui basta misurare lo stato di un qubit per capire quello di un altro a esso legato. Un computer tradizionale invece impiegherebbe molto più tempo calcolando una combinazione alla volta. Questo creerebbe grandi problemi a chi, come le banche, genera codici segreti con computer tradizionali...
Google, tra le prime aziende a investire grandi risorse nello sviluppo di computer quantistici, ha recentemente annunciato di aver raggiunto la cosiddetta supremazia quantistica, ovvero il livello di sviluppo del calcolatore a qubit tale da consentirgli di risolvere in poco tempo un problema che avrebbe richiesto un tempo pressoché eterno ad un computer tradizionale. Tale problema richiedeva al calcolatore di indovinare sequenze di numeri generati casualmente. Il quantum computer, denominato Sycamore e composto da 54 qubit (di cui uno però non ha funzionato) ha risolto il tutto in 200 secondi, tre minuti e venti. Il supercomputer tradizionale Summit, del Laboratorio Nazionale di Oak Ridge, ci avrebbe impiegato, secondo le stime, 10.000 anni. Per Google, e anche vari scienziati, questa era una prova inconfutabile della quantum supremacy, ma IBM ha rifiutato di riconoscerla come tale accusando che fosse un genere di problema più adatto ad un computer quantistico, e rivendicando di poterlo far risolvere ad un proprio supercalcolatore tradizionale, con speciali accorgimenti, in sole 2 ore.
Questo solleva un'altra questione: il computer quantistico potrebbe sostituire anche i dispositivi che usiamo tutti i giorni? Gli scienziati e gli ingegneri non lo escludono, viste le dimensioni potenzialmente raggiungibili dai qubit (anche un solo elettrone, molto meno di un transistor), ma al momento pare difficile, sia per il funzionamento, più utile per calcoli combinatori, che per la complessa struttura di un computer quantistico.
Il calcolatore, infatti, è apparso ai giornalisti cui Google ha aperto le porte dei propri laboratori dopo l'esperimento come un grosso cilindro, al cui interno si trovavano sei qubit, piccoli componenti di alluminio e altri materiali particolari (di 0.2 millimetri di diametro), posti sopra altrettanti chip, isolati tra loro e posti a bassissime temperature, inferiori a quelle dello spazio cosmico. I qubit, grazie alle particolari condizioni di isolamento, erano in grado di comportarsi come superconduttori, cambiando stati quantici quando attraversati da fasci di elettroni, allo stesso modo in cui dovrebbero funzionare ioni colpiti da fasci luminosi ad alta intensità (alternativa per ora solo sulla carta)...
Il progresso, quindi, ci ha portati dove forse molti di noi non sanno neppure, a sfruttare leggi fisiche che ci sembrava avessero reso il mondo qualcosa di indefinito, da guardare solo con la lente della probabilità, e che invece siamo riusciti a imbrigliare per creare qualcosa di straordinario. Ma anche a sviluppare reti, fondare economie, basare la vita su qualcosa che in realtà non esiste, se non in forma di sequenze binarie, che non possiamo toccare davvero. E questo, come ci avvertiva il grande Isaac Asimov, non dobbiamo mai dimenticarlo, per non mettere mai al centro il computer, ma sempre l'uomo.