SOLAR WARS 1 - La rivolta venusiana pt.2



Rickets fece forza sulle braccia ancora deboli dopo le poche ore di sonno (i minatori dormivano infatti dalle 22 di sera alle 4 di mattina, salvo i frequenti straordinari) e si sollevò dalla branda elastica, che lentamente perse le forme del suo corpo giovane ma già forte (e logorato). Fece un paio di esercizi di stretching e poi con un passo fu alla zona cucina, aprì il frigorifero, che lo accecò con la sua luce fredda per un instante, afferrò un flaconcino di colazione liofilizzata preso qualche giorno prima alle distribuzioni settimanali e lo strizzò fino a far fluire tutti i miseri 2 centilitri della viscosa sostanza color marrone in un bicchiere metallico. Prese un cucchiaio e miscelò per qualche secondo, come per gustarsi il raro momento di pace e silenzio (almeno credeva fosse quella la pace, non ne aveva mai assaporato a pieno dopo essere uscito dal caldo del ventre materno, come almeno gli raccontavano - forse per nascondergli di essere stato creato il laboratorio). Poi trangugiò rapidamente la colazione, spezzando il silenzio con un sonoro gorgoglio. Nel buio del modulo abitativo, una scatola di sardine l'aveva soprannominato qualcuno - ma Gian non aveva la minima idea di cosa fossero le "sardine", i duri spigoli metallici dello scarno arredamento parevano prendere vita. Di certo erano più vivi di lui, pensò Rickets, mentre decise di ristabilire la divisione tra viventi e non viventi accendendo la lampada al neon, che riempì la stanza di un azzurrognolo ancora più triste del nero notturno. Altra cosa che non aveva mai conosciuto, oltre alla pace e alle sardine, era la luce calda.

Rapidamente indossò la logora tuta da lavoro arancione, uscì dal modulo e percorse il corridoio passando da una penombra all'altra attraverso la crescente massa che si dirigeva al lavoro.
Giunse nella sala circolare da cui si dipartivano a raggiera i corridoi dei moduli abitativi. Al centro, il grande cilindro degli ascensori. Pareva non appartenere a quella stanza larga ma dal soffitto opprimente, come un treno di passaggio in una stazione di campagna. In effetti conduceva al livello superiore, dove si trovava la sezione amministrativa: solo i capisquadra scendevano sia fisicamente che metaforicamente al livello dei lavoratori, mentre tutti i capi con i loro sottoposti e le loro case di lusso e i loro divertimenti e tante altre cose restavano sopra, in un luogo mitologicamente inarrivabile per i minatori. Di sicuro in caso di sciagura le navette di emergenza del livello superiore sarebbero partite all'istante, abbandonando i minatori ad una crudele morte e ad un ancora peggiore oblio.

Riflessioni che non passavano di certo nella mente di Rickets, che tra l'altro non sapeva neppure cosa fosse la "campagna". Il treno sì, lo conosceva bene. E infatti, imboccato il corridoio numero 1, più largo degli altri, al seguito del caposquadra (che lo aveva redarguito per il ritardo di ben 2 minuti), e scesi i 70 metri che separavano il punto di scavo dalla base con l'enorme montacarichi, si ritrovò nella grossa caverna scavata solo pochi anni prima da cui partiva un piccolo convoglio. Quella minuta accozzaglia di vagoni sporchi e graffiati, trascinata a fatica da un piccolo locomotore elettrico, quello che per lui era un "treno", lo avrebbe condotto al punto di scavo. La fiducia nella tecnologia - o nel genere umano - non era nell'indice delle sue priorità. In generale ogni riflessione non lo era. Scavare, scavare, scavare. Queste erano le sue priorità.