In questi giorni la crisi del Governo italiano ha monopolizzato i titoli dei giornali e dei tg del Belpaese e non solo.
Ma mentre politici, analisti, politologi e giornalisti dibattevano sul futuro del paese e dall'aula del Senato giungevano immagini a tratti grottesche, immagini purtroppo ancor più sconvolgenti arrivavano dalle poche telecamere puntate sul Brasile, e in particolare sulla punta di diamante del suo tesoro naturalistico.
La foresta amazzonica è avvolta da incendi (fin qui triste normalità), ma non solo da piccoli focolai, bensì da vasti roghi che stanno divorando chilometri quadrati del più celebre polmone verde del pianeta. Secondo i rilevamenti dell'Istituto Nazionale di Ricerca Spaziale brasiliano, il cui presidente è stato peraltro rimosso da Bolsonaro subito dopo la pubblicazione delle analisi, si è verificato un aumento più che preoccupante degli incendi (72mila quest'anno) rispetto ad un anno fa, di oltre l'82%, e non si può di certo puntare il dito solo sul surriscaldamento globale, che il governo brasiliano non ha ancora neppure pienamente riconosciuto.
La causa, appare chiaro, è lo sfruttamento eccessivo dell'immenso tesoro boschivo brasiliano, aumentato del 278% nell'ultimo anno con il pieno benestare del governo guidato da Jair Bolsonaro, che ora punta il dito sulle Ong straniere operanti a difesa della foresta, cui il governo del paese sudamericano ha anche tagliato i fondi pubblici.
Notizie molto importanti e soprattutto preoccupanti, ma ignorate o quasi dai media.
Comprensibile che alla gente possa non interessare, ma forse non interessa perché pochi conoscono le terribili conseguenze del climate change, con tutto l'interesse per i politici. Se ammettessero veramente la gravità della situazione e si assumessero la responsabilità di fare qualcosa forse perderebbero dei voti e delle cariche, ma di certo non comprometterebbero la propria immagine. Purtroppo la cathedra publica conta più della res publica.
E così i milioni di cittadini di San Paolo, una delle più importanti metropoli del Brasile, sono venuti a sapere della gravissima emergenza in corso solo vedendo il cielo coperto da una spessa coltre di fumo.
Nella società dell'immagine siamo tutti San Tommaso e dobbiamo vedere, toccare, provare per credere. Ma se coloro che hanno il compito di divulgare la realtà nascondono più o meno volontariamente situazioni gravissime, privilegiando i battibecchi dei politici che, come dimostrato da una semplice analisi dei post sui social fatta da FridaysForFuture Italia, non si interessano quasi per nulla della questione ambientale, la gente non capirà mai che gran parte delle problematiche principali affrontate dalla politica sono in realtà derivate dal problema numero uno, quello ambientale.
E così pochi sanno che quattro giorni fa in Islanda si è commemorata la scomparsa del primo "ghiacciaio morto" del mondo, un gigante di ghiaccio di nome Okjökull ridotto ad un piccolo blocco non più in grado di muoversi nel 2014. "Lettera al futuro" recita la targa bronzea posta ad un lustro dalla scomparsa"Ok è stato il primo ghiacciaio islandese a perdere li status di ghiacciaio. Nei prossimi 200 anni tutti i nostri principali ghiacciai faranno la stessa fine. Agosto 2019, 415 ppm CO2"
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