La rivoluzione di una semplice equazione


1905. 104 anni fa. 27 Settembre.
Forse la data non vi dice niente, ma quel giorno sulla rivista universitaria tedesca Annalen der Physik apparve un articolo di un tale Albert Einstein che con una semplicissima equazione aggiungeva un'altro mattone (e che mattone!) alla sua rivoluzionaria Teoria della Relatività (ristretta), la quale in una decade sarebbe confluita nella Relatività Generale, ovvero il più importante punto di svolta della storia della fisica dalla nascita della disciplina con Galileo. Una rivoluzione che ha segnato una divisione, assieme alla Teoria Quantistica, tra la fisica classica e quella moderna. Ma non solo. 
Lo stravolgimento delle fondamenta della fisica di allora, con l'introduzione del concetto di relatività, il crollo del concetto assoluto di tempo e anche di spazio, l'idea di un'unico tessuto spazio-temporale che può essere deformato in tutte le direzioni (così si spiegava finalmente la gravità di Newton). Insomma, una visione dell'universo dove "tutto è relativo" e nulla è più assoluto, un universo instabile, variabile, incerto, che viene ripreso anche dall'arte e dalla letteratura. Basti pensare al cubismo, dove le figure nascono dall'unione di tante prospettive, o all'espressionismo, dove l'occhio dell'artista deforma contorni e colori secondo le sue emozioni, o in letteratura al romanzo psicologico (legato all'altra grande rivoluzione scientifica, quella di Sigmund Freud, per cui l'uomo non è più un granitico monolite, ma un puzzle di tante identità).
Ma in questa instabilità, questa relatività universale, c'è un punto fermo. Una costante. Quasi un'ancora cui aggrapparsi nel mare di incognite che ora pullulano nelle formule di questa nuova fisica.
La velocità della luce nel vuoto. c, un numero preciso (anche se di solito arrotondato), 299.792.458 metri al secondo. 
Può non piacere a tutti nella sua complessità, ma più che la bellezza il segreto intrinseco di queste nove cifre è l'importanza cardinale che rivestono nell'universo ridisegnato da Albert Einstein. 
Un'importanza che si può riassumere nella formula matematica più famosa del mondo. Una semplicissima equazione che è entrata nella cultura popolare, anche grazie alla sua straordinaria essenzialità.
E=mc2
Tre lettere, un'esponente, una potenza immensa racchiusa in una semplicità che lascia meravigliati. La si potrebbe quasi paragonare a Mattina di Ungaretti, e il nesso non sarebbe neanche così debole. 
Perché entrambe sono estremamente concise, ma al contempo infinitamente grandi nel loro significato che forse è la risposta a tutte le domande. Dovremmo aggiungere anche il "42" al nostro confronto, ma cerchiamo di non essere troppo dispersivi (i nerd mi hanno capito).
L'energia e la massa. Due cose che si consideravano separatamente, unite. Legate indissolubilmente, perché in realtà due facce della stessa medaglia. E cos'è a legarli? La velocità della luce. Un marchio di qualcosa di più grande di noi, un simbolo di infinità che noi tentiamo di controllare, un'utopia che abbiamo intorno a noi ogni giorno ma che continuiamo a indagare e a inseguire. La cosa più straordinaria del nostro universo, forse seconda solo ai buchi neri, unico luogo dove la luce scompare. Mistero ancora più grande, come la materia e l'energia oscura.
Non sappiamo nulla dell'universo, allora? Per fortuna la risposta è no, sappiamo tanto rispetto alla nostra infinitesimale piccolezza, ma ancora poco rispetto all' immensità dello spazio e del tempo del (nostro?) universo. Di certo dobbiamo dire grazie a chi ha saputo guardare la realtà non con gli occhi di un uomo, ma con qualcosa in più, per arrivare ad una formula che spesso scriviamo, leggiamo o sfoggiamo sulle magliette senza capire davvero cosa ha significato per il mondo l'Annus Mirabilis di Albert Einstein.

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