Il calcio è uno sport. Per tutti.


Il 9 Settembre Sahar Khodayari è morta per le ustioni che si è procurata dandosi fuoco davanti al Trinunale Rivoluzionario di Teheran dove era appena stata interrogata. Sahar aveva paura che, dopo i due giorni infernali passati a Marzo nella prigione di Shahr-e Rey (da cui era uscita solo su cauzione), avrebbe dovuto trascorrere altri mesi in carcere a causa del suo gravissimo reato.
Sahar non era un'assassina. 
Sahar non era una spia.
Sahar non era una trafficante di droga.
Sahar non era una terrorista.
Sahar non era neppure una ladra.

Sahar era una tifosa di calcio. Più precisamente, dell'Esteghlal, la più importante squadra della capitale, salita agli onori delle cronache nostrane anche per il caso dell'allenatore Stramaccioni, bloccato in Iran per il visto scaduto. 
E a Marzo scorso, come tutti i tifosi di una squadra almeno una volta nella vita, era andata a vedere una partita di coppa allo stadio Azadi. Solo che in Iran, e solo in Iran, e in nessun altro paese al mondo, alle donne è vietato assistere a incontri di calcio. 
Sahar aveva provato lo stesso a entrare, si era travestita da uomo, ma era stata scoperta lo stesso. E arrestata.
Per aver voluto vedere dal vivo i campioni (maschi) per cui tifava. 
Oggettivamente un fatto gravissimo.
La notizia è arrivata da noi abbastanza in sordina, come tante agenzie provenienti da Oriente e Medio Oriente senza il peso mediatico di grandi eventi quali le rivolte ad Hong Kong. Ma in verità anche la morte, terribilmente ingiusta, di una tifosa di calcio che rischiava una condanna solo per il suo essere donna, è una notizia importantissima. Più delle centinaia di frivolezze (per non usare parole peggiori) che riempiono i servizi dei telegiornali sportivi, più di tutte le novità su chi schiererà in attacco l'Inter o la Juve tra dieci partite o su quanti palloni ha toccato Cristiano Ronaldo nell'esercizio di riscaldamento la scorsa partita...
Tuttavia vivendo noi nell'avanzatissimo "mondo occidentale" la nostra arbitraria (e spesso errata) scala di importanza delle notizie ha relegato questo fatto a poco rilevante. Definirlo importantissimo non è giusto, perché non si può dare una connotazione anche solo vagamente positiva al fatto che nel 2019 ancora ci siano luoghi nel mondo dove una donna non può neanche assistere ad una partita di calcio tra uomini (sempre rigorosamente con il velo indosso) forse la FIFA dovrebbe cambiare le sue priorità. 
A parte qualche post isolato con l'hashtag #bluegirl, non c'è stata una manifestazione di indignazione collettiva del mondo del calcio (professionistico in particolare), e dopo qualche giorno tutti si sono presto dimenticati. Nessuno è andato a intervistare la famiglia, nessuno è andato al suo funerale, nessuno si è preoccupato di andare oltre il "siamo vicini alla famiglia e indignati per quanto successo", neppure la stessa federazione.
Oggettivamente, mi pare più grave questo del fatto stesso. Io la chiamerei omertà.
Ma da quanto la A finale di FIFA ha smesso di significare Amateur, e il calcio ha iniziato la trasformazione da sport a business, i numeri hanno iniziato a contare più delle persone...

Intanto almeno qualche giorno fa 3500 donne iraniane hanno assistito alla straripante vittoria della LORO nazionale contro la Cambogia nelle qualificazioni per il mondiale, entrando allo stadio a 40 anni dall'ultima volta in cui fu loro CONCESSO. Ma non adagiamoci, e non dimentichiamo.