Stadia, Apple TV+, Disney Plus, Playstation Now, XCloud…
Probabilmente a molti di voi questi nomi suonano strano, magari avete riconosciuto tre marchi inconfondibili, Apple, Disney e Playstation, ma mai in abbinata a “plus” o “now”.
Cosa significano allora questi nomi che già alla prima lettura fanno pensare a qualche misteriosa tecnologia all’avanguardia?
Se questa è stata la vostra prima impressione, siete sulla strada giusta. Questi cinque nomi appartengono al futuro più che prossimo dell’intrattenimento, dove la regola numero 1 sarà (o forse è meglio dire è) “niente supporti fisici”.
Infatti tutte queste piattaforme, perché è questo che sono, si basano interamente su un cloud o solo sullo streaming di contenuti, che come forse avete capito da “Disney” e “Playstation” appartengono al mondo della TV o dei videogiochi.
Della prima categoria fanno parte Apple TV + e Disney Plus, due piattaforme di streaming “over-the-top”, ovvero che distribuiscono contenuti autoprodotti direttamente all’utente finale, aggirando il tramite della televisione o di altre piattaforme. Per quanto riguarda la Disney, non riesce difficile immaginare la potenziale vastità (e qualità) dell’offerta, che però andrà anche oltre i grandi marchi posseduti dalla compagnia di Topolino (Pixar, Marvel. Lucasfilm e altri), arricchendosi di vari contenuti prodotti dalla 21st Century Fox, acquisita nel 2017 per 71 miliardi di dollari, che includeranno documentari firmati National Geographic, serie e film di alto livello. Già sono presenti all’interno di Hulu, piattaforma over-the-top di una certa diffusione in America, di cui Disney possiede oltre il 60%, e i cui giorni non paiono però contati nonostante l’imminente lancio del nuovo servizio, con cui potrebbe “convivere”.
Una convivenza difficile in un mercato che sta iniziando a farsi sempre più affollato, con tante grandi compagnie che cercano di cavalcare l’onda del successo di Netflix, magari proponendo contenuti esclusivi autoprodotti per attirare più clienti.
Proprio come ha intenzione di fare Apple, con la sua TV+, una piattaforma integrata nell’app Apple TV (in rampa di lancio), che punta a offrire contenuti autoprodotti in grado di competere con Disney, Amazon e Netflix, suoi futuri concorrenti. Troppa enfasi? Forse no, dato il grande impatto della presentazione (di cui a Cupertino sono specialisti), dove sul palco sono saliti Steven Spielberg, ritenuto nemico giurato di Netflix, Jennifer Aniston e la regina dei talk show, Oprah Winfrey, e sono stati annunciati investimenti per 1 miliardo di dollari entro il 2022 (stima poi rivista al rialzo fino ad oltre 4 miliardi!).
Insomma, il panorama delle piattaforme di streaming di contenuti on-demand (tutte ovviamente con piani a pagamento) sta per cambiare radicalmente, sempre a discapito di cinema e televisione, verso un futuro che pare segnato come quello dell’industria musicale.
Un futuro che pare essere lo stesso per il terzo grande settore dell’intrattenimento, quello videoludico, dove a lanciare un nuovo modo di intendere lo stesso videogioco è stata Google, con l’annuncio, fatto alla Game Developers Conference di San Francisco il 19 Marzo scorso, della sua piattaforma, Stadia.
Già erano anni che a Mountain View bolliva qualcosa in pentola, ma si era sempre pensato a una piattaforma di “cloud gaming”, come Playstation Now di Sony e Xcloud, al momento Xbox Game Pass, di Microsoft (ecco gli altri due nomi), oppure anche Apple Arcade, più vocata al multipiattaforma (sempre sui dispositivi della mela, ovviamente), dove pagando un abbonamento mensile si può accedere a una vasta gamma di giochi, sempre però scaricando dei programmi per poter accedere al cloud dove si trova a tutti gli effetti il gioco.
Invece quello a cui punta Stadia, il cui nome deriva dal latino stadium e indica quindi la presenza di tante “arene” dove i giocatori partecipano a incontri in multiplayer, è l’assenza quasi totale di un applicativo client. Infatti la piattaforma di Big G sarà interamente contenuta nel browser Chrome (e integrata poi con Youtube, per esempio), in quanto basata su una nuova tecnologia di gioco online, più vicina allo streaming di contenuti video.
Il rivoluzionario sistema, detto “cluod nativo”, si baserà su una comunicazione rapidissima coi server di Google, che in tempo reale dovranno creare il fotogramma di immediata risposta al comando immesso dal giocatore. In pratica si tratta dell’evoluzione di una storia interattiva al massimo grado. Per fare un esempio, è come se si potesse scegliere ogni singolo movimento del protagonista di Bandersnatch mentre si segue la puntata, tramite un controller o lo stesso dispositivo (telefono, tablet, pc, tv) su cui si sta riproducendo tale episodio. Questo, secondo Big G, permetterà ai giochi di raggiungere un livello grafico molto superiore a quello possibile per le più moderne console, con una definizione che dovrebbe raggiungere il 4k con 60 fotogrammi al secondo, come dimostrato durante la presentazione con al momento l’unico grande titolo di Stadia, Doom: Eternal.
Sembra tutto perfetto (a parte la mancanza di titoli, a cui Google punta a sopperire con l’implementazione di Unity in Stadia e l’allettante prospettiva per gli sviluppatori di un metodo rivoluzionario, potentissimo e soprattutto in grado di abbattere tutti i muri dell’incompatibilità), ma secondo molti i server di Mountain View, nonostante la loro enorme potenza, non sarebbero in grado di rispondere agli input in arrivo da decine e decine di milioni di giocatori contemporaneamente, continuando a svolgere le loro tradizionali funzioni che già richiedono una capacità di elaborazione spaventosa.
Ai posteri l’ardua sentenza, direbbe Manzoni, ma nel XXI secolo in tutto corre quei posteri siamo noi, magari con un po’ di nostalgia per le care vecchie console con i joystick, i televisori, i cd…