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Un sorriso amaro.
Questo ci lascia sul volto la coinvolgente e sorprendente esibizione di Roberto Mercadini ieri sera a Rimini alla Corte degli Agostiniani. Un monologo come tutti i suoi intriso di ironia, ma mai così al contempo pieno di commozione e di rabbia, per storie assurde spesso finite in tragedia.
Storie di ragazzi, che dopo l'8 Settembre, un evento oggi passato quasi in secondo piano ma per l'Italia del '43 molto peggio di una crisi di governo, si sono ritrovati senza punti di riferimento, smarriti in un paese dove chiunque poteva avere un buon motivo per spararti.
La lotta partigiana, allora, diventa un modo per trovare nuovi valori e nuove guide, o anche per vendicarsi dei soprusi dei fascisti. Oppure solo una scelta dettata da motivazioni molto semplici, come l'amore per una ragazza che però stava col fascist'.
Ma la lotta non è semplice, come non è semplice la politica di cui si discute tra partigiani. È lì, nei nascondigli dei ribelli (parola con cui erano più comunemente chiamati), che nasce la coscienza politica di un'importante fetta del popolo che andrà alle urne nel '46.
Si può dire quindi che, senza dimenticare la liberazione del territorio, il nostro paese non sarebbe lo stesso anche sotto altri punti di vista senza i partigiani.
Giovani che hanno deciso di lottare, con le motivazioni più disparate, anche a costo della vita, per liberare il nostro paese dal nazifascismo. Ma la lotta non è finita il 25 Aprile. Si può dire che è stata vinta una battaglia, forse la più importante, ma non la guerra. Ideologie che si credevano estirpate definitivamente dal nostro paese stanno tornando, e non hanno più paura di nascondersi. Usano simboli, gesti e parole che rimandano esplicitamente al Ventennio, sono strutturate in modo gerarchico e si fondano sulla violenza, ma soprattutto cercano di far presa sulle menti ancora in formazione (e quasi prive di nozioni politiche) degli adolescenti, seguendo una strategia totalitarista ispirata ai Balilla e agendo su un terreno in cui i partiti tradizionali hanno poco potere. Sanno usare i mezzi di comunicazione, come il regime di Mussolini, soprattutto i social network in cui possono agire indisturbati.
Settantacinque anni dopo, l'Italia ha già dimenticato il sacrificio di tanti eroi? La risposta è no, come dimostra la serata di ieri, ma anche che non basta ricordare a se stessi. Bisogna raccontare alle nuove generazioni, coinvolgerle nelle vicende storiche, perché il ricordo delle atrocità del nazifascismo non rimanga a prendere polvere nelle teche ma sia ricordato a gran voce nelle piazze. Piazze come quella dove furono impiccati il 16 Agosto 1943 Mario Capelli, Luigi Nicolò e Adelio Pagliarani, dedicata al loro sacrificio e segnata da una cicatrice di pietra, illuminata da tre fari, nel luogo della loro barbara esecuzione.
Un luogo simbolo di Rimini, tre eroi entrati nella cultura popolare della città (circola anche una leggenda sul fatto che furono arrestati mentre consumavano il pranzo di ferragosto a base di coniglio), divenuti simboli ed esempi per tutti. Eroi partigiani, eroi normali, eroi non dimenticati. Eroi da ricordare per un sacrificio che, come quello di tantissimi altri partigiani, non va vanificato da una memoria collettiva troppo corta. Eroi che hanno preso parte a una guerra ingenuamente creduta vinta da tutti, ma ancora in corso, oggi più che mai. Una guerra, una lotta cui bisogna prendere parte, anziché rimanere nell'indifferenza. Perché non accada più.
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